all’inizio fu un bollore sotterraneo
silenzioso e vagamente australe
finché il fischio del bollitore
spaccò il cielo come una roncola
affilata e fu da lì che nacque
l’universo di diavolerie tessili
e meccaniche che sorsero
con clamore inusitato e impreveduto
ahi, tenerle a bada, che fatica!
le formiche che giocavano
a ping pong facevano
un rumore insopportabile
i martelli che battevano sui chiodi
migliaia di teste in gommapiuma
come le motoseghe ultimo modello
in un oceano di silenzio stellare
persino una locomotiva che comparve
nel salotto e non ci stava
brezze di tessuti colorati
si atteggiavano a corridoi aerospaziali
non erano bandiere ma segnali
indicanti le onnidirezioni
chi sapeva diluirle e distillarle?
non distrarti lettore, che a ben vedere
hai ragione tu si trattava di altro
forse più sanguinolento
forse addirittura più lento, non lo so,
e neanche tu lo sai e chi non sa tace
ma il problema di cavarne un senso
rimaneva
ci guardammo ma nessuno era capace
ci guardammo senza veder nessuno
e ci toccò allungarci come prima
più di prima e molto più del solito
i passi galleggiavano sul pavimento
mentre i piedi vi sprofondavano
e nessuno ci capiva niente
se fosse miele o marmellata o colla
io battevo la testa nelle ante degli armadi
per risolvere tutti i dubbi
e dare un senso definitivo alla mia vita
dimenticando gli occhiali in cantina
tu ridevi io un po’ meno
quindi tutto logico a pensarci
io ridevo tu un po’ meno
che buffacchi quegli sbuffi
come creste sulla testa
i capelli colorati ti donavano, sicuro
ora ridevamo entrambi
persino il tavolo assumeva
una curiosa forma curvilinea
i fedeli mattoni di casa tu cissavi
lanciandoti in gorgheggi da pirata
il mondo storto che finalmente
si mostrava superando
la sua naturale timidezza
portando notti luminose
e giorni grigi, se non neri
cascate di parole seminate
che scrociavano dai muri accidenti!
e corde tese dalle più enormi
alle più minute su cui camminare
in equilibrio e le parole
a volte difficili ma spesso no
dunque non era strano
che tu le cantassi usando melodie
da me inventate battendo
i barattoli vuoti del caffè
che giorni capovolti, quelli!
ora, per quanto mi sforzi,
non riesco a ricordare
nulla di quello che ho sognato
eppure al tatto
la psiche è ancora calda